Sull’utilità del foglio di sala

di Lara Mannu

Questa settimana vi proponiamo un post di Lara Mannu, studentessa di Cooperazione internazionale che ha frequentato il corso di Blog e scrittura creativa organizzato da Fondazione Flaminia. Noi siamo morti dal ridere, voi che ne pensate?

A proposito, Lara ha vinto una borsa lavoro per seguire i progetti in Algeria e Senegal e oggi è al suo primo giorno nell’ufficio Cooperazione decentrata del Comune di Ravenna!

Qualche mese fa sono andata a teatro a vedere uno spettacolo, ‘Jackie e le altre’, della compagnia Teatri di Vita.

Prima della rappresentazione mi erano state fatte delle anticipazioni sulla trama dello spettacolo e in più ritenevo che il titolo fosse abbastanza illuminate: ‘Jackie’, Jackie Kennedy e chi se no?, e ‘le altre’, le altre saranno le amanti dell’ex presidente statunitense, avevo pensato.

Comincia lo spettacolo. Sulla scena ci sono 4 donne che indossano gli stessi vestiti, hanno la stessa acconciatura ma toni di voce completamente diversi e identità contrastanti. Osservo tutto lo spettacolo con la convinzione che le quattro donne sulla scena rappresentino Jackie e altre tre amanti di Kennedy per accorgermi solo alla fine che in realtà le attrici incarnavano le diverse sfaccettature di un’unica personalità. Da quello spettacolo ho deciso che non avrei più letto il foglio di sala prima di assistere a una performance e non avrei più ascoltato nessuna anticipazione che avrebbe potuto condizionare la percezione di quello che avrei visto.

Successivamente sono andata a teatro a vedere uno spettacolo del quale non mi avevano detto niente se non che era assolutamente da vedere. Come mi ero ripromessa di fare, non ho letto il foglio di sala. Il pubblico entra in sala tutto insieme. Sul palco c’è un uomo che passeggia. È in mutande, indossa una giacca nera di pelle, è alto, magro e ha capelli lunghi e bianchi, la fronte alta e un naso pronunciato. Sulla scena ci sono due tavoli: uno sulla destra è rettangolare, con due sedie, pieno di bottiglie vuote e illuminato da una lampadina che scende dall’alto. Uno sulla sinistra, è rotondo, alto, uno di quei tavoli da bar, con una sedia alta poco meno del tavolo, un microfono vicino e di nuovo tante bottiglie.

Sulla scena dopo poco compare una donna, vestita di bianco, con una benda nera sull’occhio destro, capelli lunghi, castani, è scalza. I due cominciano a parlare tra loro, fanno discorsi sconnessi, giocano con le parole, gridano, lui ogni tanto canta e lei strimpella con la chitarra. Ripetono più volte la parola “merda”, tema ricorrente. Cerco di dare una mia interpretazione allo spettacolo: è la descrizione della condizione di un artista oggi, la frustrazione, l’incomprensione, la fatica.

Leggo il foglio di sala e scopro che la rappresentazione è ispirata a un’opera di Werner Schwab, autore austriaco morto a 35 anni per overdose alcolica. Mi incuriosisco e una volta arrivata a casa vado a leggere la sua bibliografia. ‘Drammi fecali’: è questo il titolo della sua opera più famosa, una raccolta di 4 drammi teatrali. Lo spettacolo non parlava della vita di un artista qualsiasi, non era un uomo qualunque a urlare e sproloquiare la sua rabbia e riempire la sua bocca di ‘merda’: ecco che mi si manifesta in tutto il suo splendore l’utilità del foglio di sala.

Ora che abbiamo chiarito ogni dubbio sull’importanza del foglio di sala, rimane aperta un’altra questione: è meglio leggerlo prima o dopo aver visto lo spettacolo?

 

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Michela Casadei