Africa tornerò, l’ho promesso

di Michela Casadei

L’Africa è ancora dentro. L’odore, le immagini, i sentimenti forti.
Sara Casali, studentessa di Infermieristica di 22 anni del Campus di Ravenna, ripercorre quei giorni in cui ha vissuto un’esperienza di volontariato sanitario nell’ospedale Mnazi Mmoja Referral in Tanzania.

“In Tanzania ho vissuto in un paesino sperduto, fatto di poche case e due negozi che altro non erano se non garage, ospitata da una famiglia del posto. Ogni giorno per raggiungere l’ospedale utilizzavo un autobus fatiscente con il quale impiegavo dai 30 ai 50 minuti per percorrere una distanza che con l’auto avrei potuto coprire in un quarto d’ora. Sapevo fin dall’inizio cosa avrei trovato, ero pronta ad abbandonare la mia vita confortevole, volevo essere lì come gli altri, a completa disposizione.

Non mi importava altro. Questo tirocinio era il mio sogno e l’ho realizzato. Anche se ha significato calarmi in un mondo lontanissimo dal nostro, anche se questo ha significato mangiare per trenta giorni di seguito solo riso, fare solo docce fredde, ma soprattutto vivere esperienze fortissime, sconvolgenti direi, che mi porterò sempre dentro”.


La vera sfida per Sara è iniziata in ospedale: vincere l’iniziale diffidenza del personale sanitario nei suoi confronti è stato solo il primo ostacolo trovato. “Mi vedevano come una estranea, non mi volevano fra i piedi e inizialmente mi tenevano a distanza, sogghignavano fra loro quando mi presentavo. Questo atteggiamento è durato una settimana, poi è cambiato. Mi sono fatta piccola, ho aspettato e ho capito che dovevo entrare in punta di piedi. L’umiltà è la più grande lezione che questo tirocinio mi ha dato. Alla fine mi hanno accettata e hanno iniziato ad aprirsi, a confrontarsi con me ed è stato bellissimo”.

Superati i primi momenti, che non sono stati facili, si è aperto un mondo. Trovare soluzioni insieme alle altre infermiere dell’ospedale è stato un aspetto molto costruttivo secondo Sara: “Non hanno neanche un quarto dei nostri materiali. Non parlo di particolari attrezzature o sofisticati macchinari. Manca tutto, dal semplice drenaggio alle condizioni base di igiene, sterilità. Ogni giorno anche affrontare un caso banale con questi presupposti diventava complicato. Mi chiedevano ‘voi come fate’. Erano curiose di conoscere da me le nostre tecniche. Allo stesso tempo per me è stato utilissimo imparare da loro come intervenire senza le condizioni di partenza a cui siamo abituati”.

Al di là delle difficoltà di adattamento, il tirocinio africano di Sara è stato in certi momenti anche molto traumatico. Ci sono stati episodi capitati di fronte a lei legati alla arretratezza della struttura medica in cui si trovava che è stato dura superare. “Ho ancora negli occhi quel parto in cui il bimbo, nato morto (decapitato) per le manovre sbagliate del medico, è stato poi sbrigativamente avvolto in un telo e buttato letteralmente in un bidone di fronte alla madre. È stato terribile. In quel momento avrei voluto chiudere tutto e tornarmene a casa. L’impatto è stato così forte che mi sono sentita male”.

“Dovevo comunque andare avanti. Non fermarmi. Mi ha aiutato ripensare alle ragioni per cui ho scelto questo tirocinio in Africa e non uno chessò in Canada o a New York come avrei potuto, ragioni che sono anche il motivo per cui ho intrapreso gli studi di Infermieristica, vale a dire dare risposte a chi ha bisogno o a chi non trova risposte al bisogno, e in Tanzania tutto questo purtroppo l’ho trovato. Era lì che dovevo andare, non altrove.

Ogni giorno – racconta – ringrazio la fortuna di aver potuto partecipare a questo bando di mobilità all’estero grazie all’università. È stata un’esperienza straordinaria oltre che una sfida vinta, una prova che non pensavo di riuscire a superare. Ora so con certezza che potrò fare questo mestiere. Il mio sogno è di lavorare in area critica, come la terapia intensiva, dove si sente l’adrenalina che ti fa stare sempre sul pezzo”.

Sara è ritornata in Italia da poche settimane. Il rientro non è stato semplice, “mi sento ancora un impostore nelle mie ciabatte pulite di casa”, tanto si era abituata alla vita di prima. Ora l’aspetta la laurea.
In Africa giura che tornerà perché l’ha promesso. L’ha promesso ad Hasìna, l’infermiera che ha incontrato in Rianimazione con cui faceva il ripasso insieme e con cui è d’accordo di risentirsi; ai bambini che ogni giorno la rincorrevano e la inondavano di gioia quando scendeva dall’autobus; alle pazienti della Maternità piene di gratitudine nei suoi confronti anche solo per gesti semplicissimi come poteva essere un semplice invito a riposare.

Ma soprattutto lo ha promesso a sé stessa perché l’Africa è stata una grande opportunità, l’Africa non si dimentica.

 

 

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