Togliamocelo dalla testa: l’archeologo del Terzo millennio non è Indiana Jones. Fa ben altro che scavare tesori, decifrare testi misteriosi, duellare con le mummie. E soprattutto non ha a che fare con i nazisti.
L’archeologo moderno non è un topo di biblioteca o per forza uno che, armato di pennellino o trowel, va alla ricerca di reperti e antiche vestigia. Non di solo scavo vive l’archeologo.
Se questo è ciò che il nostro immaginario collega alla figura dell’archeologo, la realtà è un’altra.
A dirlo sono loro, gli archeologi veri. Quelli che hanno voluto ostinatamente fare della loro passione una professione e che, pur di non abbandonare le loro aspirazioni, in un mondo che li voleva per lo più disoccupati, si sono messi in ascolto di ciò che i tempi moderni richiedevano e si sono inventati un mestiere, aprendo nuovi settori, con fantasia e intraprendenza.
Ecco allora che c’è chi narra il passato ai bambini e chi lo fa ‘vedere’ ai ciechi, chi per raccontarlo usa le tecnologie e i linguaggi più diversi e persino i videogames; chi ricostruisce l’antico in 3D e chi lo sperimenta dal vivo, chi organizza i dati di scavo e chi li rende disponibili a tutti; c’è chi scrive sui giornali e chi parla di archeologia alla radio o in tivù, chi realizza documentari e chi racconta l’archeologia sui social network; chi punta sul marketing e chi sul crowdfunding.
Sono cantastorie, bloggers, illustratori, videostorytellers, ecc. ecc. Tutti rigorosamente archeologi. Che però hanno saputo reinventarsi e hanno deciso di raccontare cosa fanno ogni giorno, aldilà di dei miti e dei sogni, nel volume Archeostorie. Manuale non convenzionale di archeologia vissuta (a cura di Cinzia Dal Maso e Francesco Ripanti), un inno vivente a non darsi per vinti in partenza, a usare inventiva e intraprendenza, a credere nel proprio futuro e nel futuro dell’archeologia.
Dedicato a tutti gli studenti di archeologia, ai loro professori e a chi ama il passato e le sue bellezze.
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