Primi giorni di giugno: ascoltando il TG Regione scopro che di lì a poco a Piacenza chiuderà i battenti una mostra su Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, pittore centese del ‘600. Decido subito di andare, così su due piedi: mi aspetta un’esposizione raccolta ma molto curata. Sto per uscire quando mi accorgo di un particolare: l’ultimo quadro, il S. Francesco riceve le stimmate, a differenza di tutti gli altri, ha a fianco un gran pannello sulle analisi diagnostiche eseguite sul dipinto. A colpirmi sono subito alcuni nomi degli studiosi e la provenienza del gruppo di ricerca: il Campus di Ravenna!
Incuriosita decido di “indagare” e varcare la soglia del Dipartimento di Beni Culturali in via degli Ariani che ospita, tra gli altri, il Laboratorio Diagnostico: nonostante io sia ravennate non so cosa mi aspetti e nemmeno di cosa si occupino nel dettaglio studenti e ricercatori. Impiego pochi secondi a capire che dietro il quadro visto a Piacenza c’è molto di più: un progetto biennale, tutto dedicato al Guercino, il primo in assoluto su questo artista, che toccherà cinque città italiane e riguarderà oltre 50 opere, analizzate da un gruppo di sei tecnici tra diagnosti dei beni culturali e storici dell’arte.
Ad accogliermi è la dottoressa Chiara Matteucci, responsabile tecnica dell’Unità Polilaboratoriale del Dipartimento, una delle “guide” del gruppo di lavoro. “Tutto è iniziato con la mostra che hai visitato: i due curatori ci chiesero di studiare il S. Francesco ma, dalla bibliografia tecnica del Guercino a nostra disposizione e dall’analisi prettamente diagnostica e scientifica del quadro, ci accorgemmo che in realtà i dati disponibili erano limitati. Così invitammo alcune delle istituzioni in possesso di opere del Guercino a collaborare per eseguirne la mappatura scientifica”.
Da qui è nato il progetto, intitolato “Dai materiali alla tecnica pittorica: indagini scientifiche sul Guercino” in collaborazione con il Centro Studi Internazionale Guercino. “Si tratta di un lavoro complesso” continua Matteucci “che abbiamo suddiviso in tre fasi. La prima è stata dedicata allo studio scientifico delle informazioni diagnostiche già esistenti, la seconda sarà la vera e propria campagna diagnostica sul campo, già iniziata nei mesi scorsi al Palazzo Ducale di Piacenza e alla Pinacoteca San Lorenzo di Cento, una chiesa trasformata in museo dopo il terremoto. La terza ci vedrà impegnati a elaborare i dati raccolti e ad eseguirne la relativa comparazione con quelli archiviati nelle fasi precedenti”.
Protagonista un gruppo di professionisti tra scienziati e umanisti: oltre a Matteucci, la professoressa Mariangela Vandini, responsabile scientifica del Laboratorio, la professoressa e storica dell’arte Barbara Ghelfi, Salvatore Andrea Apicella, Flavia Fiorillo, Martina Cataldo, Gaia Tarantola, Pasquale Stenta, l’ingegnere francese Pascal Cotte e lo studioso russo Ivan Krystall.
Dalle fotografie e dai racconti sembra tutto molto semplice, quasi naturale, ma non è così: “Il nostro laboratorio è dotato di macchine di ultima generazione che abbiamo smontato e portato con noi a Cento. Tra queste l’innovativa tecnica LAM, presente, oltre a Ravenna, solo a Parigi e a San Pietroburgo”.
Visto il mio sguardo stranito, vengo subito accompagnata al piano di sopra per un incontro a tu per tu con questa innovativa camera, inventata dall’ingegnere ottico francese Pascal Cotte. Una sorta di grande macchina fotografica che, grazie a due lampade a colonna opportunamente progettate per creare un fascio di luce collimato, è in grado di analizzare in profondità il quadro. La camera registra una gran quantità di dati che, interpretati e sequenziati mediante una serie di algoritmi, danno vita a diverse immagini che consentono di ricostruire i vari strati del dipinto in modo che lo studioso possa osservare tutte le varie fasi creative, dalla prima pennellata all’ultima. Per intenderci, con questo metodo Cotte ha scoperto un viso diverso sotto a quello notissimo della Gioconda. Nel caso del Guercino, invece, il nostro gruppo ha appurato che il pittore faceva raramente disegni preparatori. E che, in alcuni quadri, delle figure sono state modificate o eliminate in corso d’opera. “Guercino si faceva pagare in base al numero delle figure: il committente, probabilmente, non era più disposto a pagare una certa cifra”.
Immagino l’emozione, per uno studente, di lavorare in un simile progetto: Gaia, studentessa di Science for the conservation – restoration of cultural heritage, è seduta davanti a un PC. Lo schermo è pieno di strani grafici colorati: sembra un elettrocardiogramma invece serve per capire la composizione chimica dei pigmenti utilizzati nel dipinto. Nonostante la diagnostica sia il suo pane quotidiano ammette che “vedere il proprio nome in un’esposizione è stato strano ma emozionante. Tutta l’esperienza è difficile da raccontare: sono una semplice studentessa ma sono stata accolta senza problemi nel gruppo. Ho lavorato a fianco di una restauratrice, sono passata dalla teoria universitaria alla pratica. Per la prima volta ho visto come si organizza un progetto strutturato, come si lavora in un ambiente non predisposto per la diagnostica, come la chiesa di Cento, ma organizzato dagli studiosi stessi con le loro strumentazioni e attrezzature”.
Il laboratorio si occupa anche di tanto altro: effettua consulenze per pubblici e privati e si è specializzato soprattutto in dipinti leonardeschi (e infatti da un PC fanno capolino studi su una copia della Gioconda). A rendere speciale questo laboratorio, unico in Europa per completezza, la coesistenza di umanisti e scienziati: “Non potrebbe essere altrimenti” mi spiega Salvatore Andrea “se non ci fossero gli umanisti, gli scienziati potrebbero attribuire Topolino a un pittore del ‘500”. Lui, laureato in Score ma con una triennale in Diagnostica e Restauro di stampo umanistico, si definisce un ‘ibrido’. “Come scienziati studiamo i materiali ma se qualcuno, appunto, usasse tecniche e colori opportunamente invecchiati per dipingere un personaggio moderno noi non avremmo le conoscenze necessarie per accorgercene. Qui entrano in gioco gli storici dell’arte: è una forte estremizzazione ma è per far capire il delicato equilibrio del nostro laboratorio”.
Prossimo obiettivo Innocenzo da Imola, pittore romagnolo di fine ‘400 su cui non esistono cataloghi tecnici: la sua Sacra Famiglia, custodita a Modena, è già stata analizzata dal Laboratorio. Preparatevi, le sorprese non mancheranno.
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