Almarella, le due righe del capotreno e il gatto Apollinare

di Michela Casadei

Era già tutto scritto, stava lì in quel nome che la mamma aveva preso da una cantante in voga alla tv, Almarella, o ‘Alma’, proprio come Alma Mater, dove era stabilito che il destino la portasse e la facesse diventare una delle figure più amate del Dipartimento di Storia Culture Civiltà  a Ravenna.

Almarella Mandolesi è un pezzo della storia di Archeologia a Ravenna: dolce, timida amabile custode di tanta vita passata di lì nei 32 anni maturati da quel primo dicembre dell’86 quando prese servizio a Casa Traversari. Era stata assunta come collaboratore tecnico scientifico con particolari funzioni relative alla biblioteca e alla redazione delle pubblicazioni quando ancora questo edificio era l’Istituto di antichità ravennati e bizantine.

Ma il legame con la sede di via San Vitale era iniziato ancor prima, da studentessa: “mi sono laureata in Lettere a Bologna, dando al mio percorso un indirizzo archeologico, e alcuni corsi li ho frequentati proprio qui a Ravenna. Erano i tempi del grande prof. Mario Mazzotti che insegnava Antichità ravennati”, ricorda Almarella. “Anni in cui, mi raccontava la prof.ssa Raffaella Farioli, i docenti portavano gli studenti in viaggio sui luoghi delle materie di studio, si proclamavano Giustiniano e Teodora e tutto aveva una dimensione molto intima e raccolta”.

Neppure dopo aver conseguito la laurea, Almarella è riuscita ad allontanarsi troppo da dove il destino la voleva: “Dopo la scuola di perfezionamento, come tanti laureati mandai domande di lavoro a tutte le scuole private e professionali di Ravenna e Bologna. E indovinate dove venni assunta? Proprio di fronte Casa Traversari, dove si trovava un centro di formazione professionale e avevano bisogno di un’insegnante per i corsi di primo livello e per le guide turistiche e gli accompagnatori turistici. Ci rimasi cinque anni poi feci il concorso e riuscii a entrare all’università. In pratica non ho fatto un grosso spostamento: si trattava semplicemente di attraversare la strada…”.

‘Era destino’, dunque. Un destino legato al mondo dell’archeologia e alla sede di questi studi a Ravenna.

Anche le vicende della giornata del concorso ne sono la dimostrazione: “Quel giorno non lo dimenticherò mai: ero in viaggio in treno per Bologna e a un certo punto ci fu un incidente che rese impossibile proseguire. Ero disperata, non sarei mai riuscita a raggiungere la sede stabilita in tempo, né avrei potuto avvertire del ritardo perché a quel tempo non c’erano telefonini. Avevo già dato tutto per perso quando il caso volle che il mio vicino di posto fosse un notaio che mi suggerì di farmi fare ‘due righe’ dal capotreno come giustificazione. Io seguii il consiglio e quando arrivai, con tutto quel ritardo, fu proprio solo grazie a quel foglio che mi venne concesso di mettermi alla prova. Seppi poi più tardi che su quel treno c’era anche un’altra persona che doveva fare il concorso e non aveva giustificazione; anche a lei fu ammessa grazie alle mie due righe”. Poi sapete come è andata? Almarella è arrivata seconda (ed è stata assunta perché il primo concorrente ha poi rinunciato) e la ragazza salvata dalla giustificazione è arrivata terza! Quindi, sì, era scritto.

Almarella e i primi anni

Tutto il resto, oltre a un incastro perfetto di pedine, è una vita spesa a contatto con i libri, in una sede di lavoro che è diventata come una casa. La sua casa.
I primi anni di servizio non furono facilissimi: “Ero felice di essere tornata qui, un posto che amavo, dove mi ero formata, praticamente casa, ma c’erano pochi studenti a quel tempo, giornate in cui non passava nessuno in biblioteca, con qualcosa che mi mancava. A volte mi affacciavo alla finestra per parlare con i miei ragazzi dell’istituto professionale e loro mi dicevano ‘torna Almarella, torna”.

Tutto cambiò nel ’95, quando l’Istituto di antichità ravennati e bizantine diventò Dipartimento di Archeologia. “Da quel momento arrivarono gli studenti, la biblioteca cominciò a riempirsi, il lavoro triplicò, chiedevano di comprare libri e finalmente qui entrò la vita”.
Tra i ricordi di Almarella spicca una figura molto significativa per lei, la prof.ssa Silvia Pasi, che ora non c’è più. “Come tanti altri, che poi ho ritrovato qui come docenti, anche la prof.ssa Pasi era stata una assistente ai tempi in cui studiavo io. Con lei ho avuto un rapporto particolare: mi coinvolgeva nel suo lavoro di insegnante, mi dava mansioni con gli studenti e voleva che la affiancassi nella sua attività: aveva capito che mi piaceva stare a contatto con gli studenti e raccolto quel desiderio nascosto di una carriera accademica che probabilmente avrei fatto se la vita non mi avesse portato qui”.

Con la prof.ssa Silvia Pasi

Ma nel cuore di Almarella ci sono anche tanti altri docenti che negli anni ha incontrato a Casa Traversari: da Augenti, a Sassatelli, De Maria e Lepore: “Con tutti ho avuto un rapporto bellissimo”. Un docente in particolare è stato importante: il prof. Murizio Tosi, che fu direttore del Dipartimento e responsabile della unità operativa di sede. “Era una persona straordinaria, con una cultura e un carisma fuori dal comune. Al di là del carattere impetuoso, era uomo con una umanità incredibile, da cui ho imparato tanto e che devo profondamente ringraziare per avermi sempre coinvolto e valorizzato nonostante la mia timidezza”.

A segnare l’esperienza lavorativa di Almarella sono stati i docenti, ma anche gli studenti: “Il segno del tempo te lo danno proprio loro, quando passano a trovarti e ti mostrano i loro bambini: è stupendo”. I ricordi legati ai ragazzi sono tanti e molto nel corso degli anni è cambiato, ma una cosa è sempre rimasta la stessa ad Archeologia: la festa di Natale. “Un appuntamento fisso che si organizza sempre in aula Bovini, dove ogni anno avviene lo scambio di auguri. Non manca mai la lista del dolce e del salato, tutti portano qualcosa, è una tradizione anche il panettone milanese offerto dal prof. Massimiliano David, infine la foto di gruppo di fine pranzo”.

Festa di Natale

C’è poi il gatto Apollinare. O meglio, c’era. “Quando mi hanno comunicato che era morto, ero in strada e mi sono messa a piangere come una disperata”, ricorda Almarella. Anche Apollinare conosceva bene Archeologia: era il gatto del quartiere; per tanti anni aveva scorrazzato per le strade del centro; poi più da vecchietto, aveva trovato la sua casa proprio in via San Vitale, nelle aule del Dipartimento. “Tutti erano affezionati a lui, era diventata la mascotte degli studenti che consideravano propiziatorio passare a salutarlo prima degli esami. Trascorreva le sue giornate comodamente accucciato a fianco alla mia scrivania, su quella che poi è diventata e sempre resterà ‘la sedia’ del gatto Apollinare”.

Il gatto Apollinare

È un bagaglio pieno di tanta passione per il proprio mestiere e per il mondo dell’archeologia quello di Almarella: un bagaglio che ancora continua a riempire sempre con grande entusiasmo. “Amo tanto viaggiare e in questi anni ho visitato tanti paesi dall’Asia all’Africa, ma – racconta – vorrei tornare a visitare le aree archeologiche dove ho scavato e che ho studiato da ragazza. Rivivere i miei primi passi e tornare a toccare con mano ciò che fra queste mura respiro quotidianamente è un regalo che vorrei cercare di farmi”.

Dolce Almarella te lo meriti e noi te lo auguriamo tutto!

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