“Sai cosa fa la differenza? All’estero i laboratori come questo ricevono finanziamenti da capogiro.
Non basta, come nel nostro caso, essere tra i più alti livelli; non basta avere strumentazioni tra le più sofisticate e innovative. Non bastano competenze da far invidia”.
È questo il rammarico di Elisabetta Cilli, professore a contratto e assegnista di ricerca al Dipartimento di Beni Culturali che da dieci anni è il braccio operativo del laboratorio di Antropologia fisica e DNA antico diretto dal prof. Giorgio Gruppioni.
“Senza fondi non fai ricerca. Senza fondi i ricercatori come me, che lavorano in questi settori, arrancano. A volte ci sentiamo un po’ come MacGyver, perché ci ingegniamo per fare tutto con i pochi finanziamenti disponibili. E qui, come altrove, le risorse a favore di studi e progetti, sono sempre meno.
Per questo l’idea di andarmene mi ha sfiorato tante volte. Per avere quella stabilità professionale ed economica che in Italia un ricercatore deve sudare una vita. Ma soprattutto per poter applicare le mie conoscenze, esprimere la passione per questo lavoro.
Ma poi, mi dico, come potrei lasciare tutto quello che ho avuto l’opportunità di costruire e imparare qui?
Mi metto una mano sul cuore e continuo a dargli retta.
Sono stati anni intensissimi. Mi sono laureata in Scienze ambientali, indirizzo biotecnologie marine nel 2003, ma il mio destino era un altro. L’interesse per scheletri e mummie ha sostituito rapidamente quello per pesci e ambienti marini.
Sotto la guida umana e professionale del prof. Gruppioni mi sono occupata delle ricerche scientifiche più affascinanti.
Quando ancora il laboratorio del DNA antico non era la struttura così all’avanguardia e altamente qualificata che è oggi, e le nostre ricerche si concentravano sul dna moderno, ho avuto l’opportunità di cimentarmi nello studio della popolazione degli Yaghnobi del Tajikistan, un’esperienza bellissima dove lavoravano gomito a gomito antropologi molecolari, linguisti e farmacologi”.
Poi man mano che sono arrivati fondi, il Dipartimento ha investito nel settore antico ed è partita una serie di ricerche sui resti di personaggi famosi del passato come Pico della Mirandola, Boiardo o Caravaggio che ha dato al team di Antropologia a Ravenna grande visibilità e a me l’ennesima conferma di quanto amassi occuparmi di ricerche di questo tipo.
“È incredibile cosa significhi lavorare con reperti umani così antichi: ogni volta è una sfida, non sai mai cosa troverai, è un continuo fermarsi e ripartire, non hai mai la certezza della risposta scientifica che otterrai. Adoro questo mettersi sempre in gioco, e poi svelare enigmi, trarre dal passato le risposte del futuro. Soprattutto ora che, grazie agli ultimi finanziamenti ricevuti, il Laboratorio del Dna antico di Ravenna è stato completamente rinnovato e dialogherà alla pari con le più qualificate strutture omologhe straniere.
Il Laboratorio collabora con prestigiose strutture di ricerca private e pubbliche, italiane ed europee, in particolare con il Centre for Ecological and Evolutionary Synthesis (CEES) di Oslo, oltre che con il RIS di Parma dal lontano 2006. Infatti abbiamo instaurato una proficua collaborazione con il generale Garofano e io ho avuto l’opportunità di conoscere direttamente le metodologie seguite dalla sezione scientifica, lavorando per diversi mesi fianco a fianco con loro, e fra l’altro nel periodo in cui venivano affrontate le indagini sui delitti che più hanno fatto scalpore.
Oggi il team di Antropologia è impegnato in una nuova ricerca molto interessante, quella sulla peste, il cui batterio continua a manifestarsi anche ai giorni nostri, tanto che è considerata una malattia riemergente. In particolare studieremo le necropoli di appestati nelle varie epoche in Italia e analizzeremo come si è evoluto il batterio di questa malattia nel passato, con l’obiettivo di capire come si evolverà in futuro.
Ora capite perché sono così entusiasta di fare questo lavoro? Sono felice di occuparmi ogni giorno di studi così appassionanti.
Il mio sogno? Quello di continuare a farlo, naturalmente. Ma anche che il team del DNA antico a Ravenna (oltre a me, ci sono Giulio Catalano, Patrizia Serventi e Chiara Panicucci), sotto la guida del prof. Gruppioni, cresca e diventi un gruppo stabile, perché qui più che altrove il lavoro di gruppo è fondamentale”.
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