Nel mare di Cestha

di Michela Casadei

Lea nuota tranquilla nel sua vasca d’acqua. La frattura con cui è stata recuperata ora è quasi completamente calcificata. Lea è la ‘piccolina’ di casa, una delle dieci tartarughe attualmente in cura al Cestha, il Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat che dal 2016 si occupa, unico in Italia, del recupero dei pesci derivanti dallo scarto della pesca.

Da gennaio, da quando Cestha ha ottenuto l’autorizzazione dal Ministero dell’Ambiente ad occuparsi anche della riabilitazione di questa specie protetta, sono stati in tutto quindici gli esemplari di tartaruga passati da qua.

Lea, Pablita, Beatrice, Claudia: hanno tutte un nome le ‘bambine’ di Cestha. Arrivano qui e vengono subito sottoposte a check up veterinario. C’è chi ha ingerito plastica, chi come Lea ha subito una frattura. Per ciascuna, prima della restituzione in mare, il programma di cura e riabilitazione è specifico.

Il centro, che ha sede nel complesso dell’antico Mercato del pesce di Marina di Ravenna, funziona proprio come un ospedale: vengono accolte tutte le specie marine in difficoltà, per lo più rimaste impigliate nelle reti dei pescatori, che diversamente finirebbero per morire o per essere rigettate in mare morte.

Attualmente, oltre alle tartarughe, sono presenti astici, cavallucci marini, squali, trigoni, una aragosta, rarissima in queste zone, come anche un granchio blu e un granchio indiano, esemplare mai avvistato prima nel Mediterraneo, e uova di seppia in grappolo in attesa di schiudersi.

Sono tutti esemplari che hanno subito un trauma o sono di dimensioni troppo piccole per essere messi a mercato o ancora si tratta di specie rare o a rischio di estinzione. In ogni caso tutto è possibile solo grazie ai pescatori che pescano e hanno imparato a consegnare a Cestha.

A occuparsi di queste specie ogni giorno ci sono nove biologi marini, tutti laureati a Ravenna che, provenienti dalle più diverse regioni d’Italia, hanno deciso di rimanere e di fare di questa attività il loro mestiere.
La loro giornata tipo è venire al centro, controllare gli animali, ritirare dai pescatori gli esemplari recuperati, pulire le vasche, scongelare o comprare il cibo necessario, somministrare le medicine o la terapia, far fare i bagni di sole alle tartarughe. Ma anche occuparsi della struttura, gestire emergenze, e qualcuno giura: a volte pure riparare pompe, montare filtri e improvvisarsi idraulici.

Simone D’Acunto e Sara Segati sono i fondatori di Cestha. Simone si occupa di progettualità, intercetta bandi, reperisce fondi; Sara è la responsabile legale e scientifica del centro e si occupa anche della didattica.

Simone D’Acunto

Si sono conosciuti nel 2013: “Lavoravamo in un’altra struttura che trattava animali e non ci piaceva come venivano gestite le cose. Ci siamo detti perché non dar vita a una associazione? Perché non fare di meglio?”.
“Avevamo passione per gli animali, un po’ di sana presunzione e forse tanta incoscienza. Non volevamo sprecare i nostri studi universitari; così ci siamo buttati, e alla fine, dopo una lunga strada e tanti sacrifici, siamo arrivati fino a qui”.

Oggi Cestha è il primo centro di recupero per la fauna ittica presente sul territorio nazionale. È una organizzazione no profit riconosciuta ufficialmente dal Ministero per l’istruzione, l’Università e la Ricerca come Ente per lo sviluppo di studi ambientali. Si occupa di programmi di conservazione delle specie a rischio e promozione di attività di gestione sostenibile, lavorando in stretta collaborazione con il CNR, Università di Bologna, Università di Padova. Ha al proprio attivo numerosi progetti di tutela e ricerca con istituti di ricerca pubblici e privati. Tra questi il Centro per l’Innovazione di Fondazione Flaminia. Svolge attività di divulgazione scientifica e scolastica. Attualmente sta portando avanti uno studio sugli squali e i siti di parto con la marineria di Cervia.

Nonostante i numeri d’eccezione, la prima grande soddisfazione dei ragazzi di Cestha è il rapporto di fiducia costruito con i pescatori: “Senza di loro il nostro lavoro non sarebbe possibile. La prima cosa è stata mettersi a loro disposizione, dimostrare umiltà, condividere con loro i nostri progetti e le nostre idee – spiega Simone.
“Così si è superata la diffidenza che ci divideva ed è iniziata una collaborazione proficua: sono loro a consegnarci i pesci, hanno capito che anche salvare una seppia piccolissima di pochi millimetri ha un grande senso ed è nell’interesse loro e del mare da cui traggono sostentamento”.
“La cosa più bella – racconta Sara – è quando ti arrivano e ti dicono orgogliosi: guarda che ti ho salvato oggi”.

Sara Segati

 

Ora Simone e Sara guardano avanti e, dopo i tanti ‘fatto’ che hanno potuto spuntare, resta ancora un grande sogno, anzi ‘il sogno dei sogni’: “Creare qui un’area di studio per la deposizione degli squali, un unicum in Adriatico, che consentirebbe di salvaguardare questi animali bersagliati, oggetto di pesca e commercio e quindi a rischio”.

Ai giovani laureati di Biologia marina consigliano di non demoralizzarsi una volta finiti gli studi se il lavoro non arriva subito, di seguire sempre le proprie passioni, di rimboccarsi le maniche e non aver paura di sporcarsi le mani e magari…studiare anche le nostre specie ittiche locali, non solo essere i massimi esperti di pesci tropicali.

 

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