È risaputo, la cucina dello studente fuori sede punta alla qualità del momento, cerca di rendere indimenticabile qualsiasi piatto, dalla classica pasta tonno e pomodoro, all’innegabile dolce del supermercato che non può mancare alla fine di ogni pasto.
I miei primi mesi da studente fuori sede sono stati traumatici: abituato con mamma che preparava per tutti, mi sono ritrovato a girare, furtivo, tra pizzerie e piadinerie in cerca di cibo.
L’università ti concede poco tempo libero: i corsi, le lezioni e gli esami ti impongono un certo rigore, ma una volta che capisci come gestire il tempo, riesci a ritagliarti piccoli momenti per dedicarti alle tue passioni: la mia è quella di cucinare dolci.
Questo i miei coinquilini lo sanno bene soprattutto il giovedì pomeriggio quando mi impadronisco della cucina per farne il mio campo di battaglia. Quando si è sotto esame la dipendenza da dolci sembra l’unica cosa che ci lega al mondo reale, tra una pagina e l’altra riusciamo a far scomparire intere tavolette di cioccolata.
La cucina diventa una trincea, in cui cucchiai di farina si mischiano a zucchero e uova; mentre il tavolo si sporca degli ingredienti più disparati, le coinquiline attendono fameliche la fine della cottura, sbirciando dal vetro del forno per capire quanto ancora dovranno attendere per gustarlo.
Il dolce del giovedì fa da accompagnamento ad una cena con amici, in cui ciascuno porta il proprio piatto, da prelibate pietanze ad appropriazioni indebite di alimenti precotti che vengono spacciati per proprie creazioni.
Il manuale del buon studente fuori sede prescrive che qualunque cosa si cucini sia condivisa con amici e coinquilini, soprattutto nell’inverno ravennate dove le temperature sotto zero impongono il coprifuoco. Le cene diventano uno strumento di convivialità, un mezzo che ti permette di condividere momenti divertenti con gli amici che culminano in giochi di società fino a tarda notte, dove il più competitivo del gruppo è disposto a barare pur di non perdere.
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