Vincenzo Pioggia, l’università ieri e oggi

di Michela Casadei

Non è un luogo o una istituzione. È molto di più. Per Vincenzo Pioggia l’università è una casa. Una casa che lo ha accolto nel ’98, quando da Ispica, in provincia di Ragusa, ha deciso di trasferirsi a Ravenna per iscriversi alla facoltà di Beni culturali. Una casa che è stata un punto di riferimento anche dopo la laurea e che ora è tornata come protagonista del suo lavoro.

Dalla laurea in Archeologia medievale Vincenzo ha fatto molta strada; in mezzo anche quel concorso fotografico lanciato per i vent’anni di Fondazione Flaminia che l’ha visto vincitore e che è stato un po’ precursore di ciò che doveva venire.
Oggi Vincenzo è un fotografo professionista: per il Trentennale di Fondazione Flaminia ha realizzato ‘Scatti di vita universitaria’, mostra fotografica che racconta l’emozione dei momenti unici e irripetibili vissuti da chi ha scelto Ravenna per laurearsi.

Vincenzo Pioggia

Così l’università a Ravenna lui l’ha vissuta due volte: ieri, da studente, e oggi, da professionista. Una posizione unica che gli ha permesso di vedere come è cambiata l’università negli ultimi due decenni.

Che ricordi hai di quando eri studente?

“Gli anni dell’università sono stati anni bellissimi. Noi fuorisede vivevamo poco la città e molto gli appartamenti. Qui costruivamo la nostra seconda famiglia. I miei coinquilini erano ragazzi provenienti dalla Puglia, dall’Abruzzo, dalla Calabria e dalla Toscana, un mix di terre e tradizioni diverse che era bello condividere e conoscere. Li sento ancora oggi. Della città frequentavamo pochi luoghi, ai miei tempi c’era il bar Belli di via Ponte Marino, che credo sia stato un punto di riferimento storico per tutti i ravennati. Per il resto si studiava tanto, stavamo molto all’università, che per noi era palazzo Corradini, anche se le lezioni erano sparse in altre sedi”.

Vincenzo il giorno della laurea

E oggi? Il confronto rispetto ai giorni nostri scatta spontaneo.

“Oggi tutto è potenziato. Gli studenti hanno molte agevolazioni che non c’erano ai miei tempi. Noi avevamo solo i buoni pasto da utilizzare alla mensa del Bizantino. L’università a Ravenna ha fatto passi da gigante in questi anni per migliorare la qualità di vita degli studenti. A cavallo del 2000 era numerosa la comunità albanese, ma era l’unica presenza internazionale; oggi Ravenna ha un vero campus internazionale, con studenti provenienti da ogni parte del mondo”.

Eppure di grandi passaggi ne avevi già vissuti ai tuoi tempi.

“Ricordo la rivoluzione della macchina per statini; prima l’iscrizione agli esami era cartacea e bastava chiedere alla Rosa per essere spostati in fondo alla lista”.

Ecco appunto: la Rosa, della portineria.

“Una figura che porto nel cuore. Un riferimento per tutti gli studenti che frequentavano il Corradini e sono certo anche per chi studia ora a Ravenna. Era lei a tenerci a bada. Ci conosceva tutti, era una persona di casa. Le ho dedicato uno scatto della mostra, glielo devo”.

Rosa

Come è stato ritornare nei luoghi dell’università da ‘grande’?

Davvero molto emozionante. Ho rivisto i luoghi in cui ero stato da studente vent’anni prima. È stato bello rivivere quelle sensazioni. Gli appartamenti in particolare. Ci ho ritrovato la stessa atmosfera, la stessa armonia, lo stesso senso di famiglia.

Come sono gli studenti di oggi?

Sono tutti molto appassionati, gente seria, che ci crede, con la voglia di mostrare quello che fa, di raccontare cosa c’è e cosa si fa all’ università. Mi hanno aperto le porte dei laboratori, tirato fuori pergamene, mostrato progetti. Dimostrato grande entusiasmo e soprattutto trasmesso una gran voglia di comunicare. Ho sentito forte i loro sogni.

Che giudizio dai al tuo lavoro ‘Scatti di vita universitaria’?

Con la fotografia ho il privilegio di entrare in tanti mondi diversi; il mio obiettivo ogni volta è di farli conoscere, portarli alla gente. L’università mi ha trasmesso una particolare voglia di uscire ‘allo scoperto’ e mostrarsi fuori dalle aule, fuori dalle sedi, ecc. Credo di essere riuscito in questo intento privilegiando il reportage: salvo pochissimi casi in cui non mi è stato possibile per un discorso di liberatorie, gli scatti sono molto spontanei, sono storia vera e credo si veda. Questo progetto fotografico è stato un viaggio molto emozionante per me in primo luogo perché mi ha permesso di entrare in tante diverse situazioni, ritrovare le atmosfere e rivivere la bellezza di quegli anni unici e irripetibili. Spero che possa trasmettere lo stesso anche agli altri.

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