Io, ricercatrice in stand by

di Federica Costantini

In questi giorni riusciamo a far poco di più che parlare di come ci si sente in quarantena, quali sono le sensazioni che questo ‘fermo pesca’ sociale ci fa provare e soprattutto, quali sono i nostri pensieri per il futuro. Per noi che facciamo ricerca, e soprattutto ricerca in mare, normalmente questo è il periodo dell’anno più intenso, il periodo in cui dobbiamo preparare tutti i materiali, gli esperimenti e i programmi per le attività che da qui e per tutta l’estate dovremmo fare in mare. Ma l’emergenza sanitaria sicuramente, e la natura, così qualcuno dice, ci ha fermato, ci ha messo in stand by e ci ha detto di aspettare.

Federica Costantini, professore associato e ricercatrice BIGEA

Parlando con una mia amica mi sono resa conto che descrivevo la situazione solo in negativo… la didattica online senza contatto diretto con gli studenti; la ricerca ferma e di conseguenza i progetti europei che potrebbero slittare, perdere finanziamenti; e i nostri assegnisti di ricerca venuti in Italia, uno da Washington DC (USA) e uno da Sombor (Serbia) che da più di un mese sono in casa a lavorare da remoto e che erano arrivati in Italia per fare ricerca e per vedere il nostro Belpaese.

Con uno di loro, in particolare saremmo dovuti partire la settimana prossima per le nostre attività di campo, prima in Corsica, poi in Croazia e poi in giro per le coste italiane fino a luglio. Si perché io, noi, studiamo la diversità marina o meglio la biodiversità. Ma non di quegli organismi grandi, famosi e carini, ma quelli, piccoli, sconosciuti e difficili da vedere e riconoscere che si trovano in ambienti ancora poco conosciuti ai più. Questi piccoli esseri viventi, che vanno dai pochi micron a qualche centimetro, comprendono vermi dai mille colori, spugne, piccoli crostacei, molluschi e altri organismi che rientrano nel macrogruppo degli invertebrati.

Nello specifico, questo progetto europeo di cui faccio parte come Primo Ricercatore per l’Università di Bologna, e che coinvolge ricercatori dalla Francia e dalla Spagna, si chiama SEAMoBB: Solutions for Semi-Automated Monitoring of Benthic Biodiversity.

L’obiettivo è trovare soluzioni innovative per il monitoraggio della biodiversità bentonica marina del Mar Mediterraneo. Per farlo testiamo diverse strutture artificiali e cerchiamo di capire come varia il numero di specie e la loro abbondanza. Queste strutture hanno forma e caratteristiche diverse e sono in grado, grazie alla loro complessità, di far sì che gli organismi le usino come rifugio e come nuovi substrati su cui crescere e riprodursi. Tali strutture vanno da delle semplici spugnette per lavare i piatti…sì proprio quelle…, a strutture più complesse definite ARMS, e che a volte io chiamo semplicemente ‘condomini’. Sì, perché per gli organismi che vivono in mare e che hanno bisogno di riparo dai predatori, che hanno necessità di crescere in ambienti poco luminosi e che hanno bisogno di zone poco disturbate per riprodursi, rappresentano delle vere e proprie case, dei condomini senza porte in cui le specie possano creare relazioni e interagire in una rete complessa di connessioni.

Insomma, noi andiamo in mare a installare queste strutture e dopo un anno le andiamo a recuperare e cerchiamo di capire chi sono gli organismi che le hanno colonizzate e se, nel tempo, il loro numero è diminuito. Ecco cosa facciamo. Naturalmente non ora. Ora è tutto fermo.

Ma perché lo facciamo? Perché sappiamo che il Mar Mediterraneo è uno dei più grandi hot spot (punti caldi) della biodiversità marina. La sua elevata biodiversità è continuamente minacciata da attività umane dirette e indirette come il crescente sviluppo urbano delle aree costiere, la diffusione di specie invasive attraverso il traffico marittimo e l’acquacoltura, la pesca eccessiva, l’uso indiscriminato delle risorse marine e il cambiamento climatico. Questa riduzione della biodiversità procede molto velocemente e il rischio è di perdere specie che ancora non conosciamo e non abbiamo ancora descritto.

Questo è il nostro compito, conoscere e descrivere queste specie e capire qual è il loro stato di salute per poter poi sviluppare dei piani di gestione e monitoraggio per la salvaguardia del patrimonio naturale marino. Ma il problema è “Quanto dura ‘per sempre’? A volte, solo un secondo”, dice il Coniglio Bianco ad Alice quando arriva nel Paese delle Meraviglie.

Il mare è il mio paese delle meraviglie e ora l’emergenza sanitaria forse ha allungato questo secondo, per quanto? Quali saranno le conseguenze?

Nei social, in tv e sui giornali abbiamo visto, in questi giorni, foto di animali in luoghi in cui era parecchio tempo che non si vedevano, cervi che attraversano strade di paesi di campagna, uccelli che frequentano parchi cittadini, delfini nelle vicinanze di porti… E’ un processo normale. La natura si riprende i suoi spazi. C’è un libro molto bello che parla di questo (“Il mondo senza di noi” di Alan Weisman, 2008) che spiega, forse in maniera un po’ catastrofica, cosa succederebbe al nostro pianeta dopo 48 ore, 5 giorni, 100 anni dalla scomparsa dell’uomo…

Ma io mi occupo di mare e di quello che succede sott’acqua se ne parla poco, se ne conosce poco e non sappiamo se e come gli animali che vivono nei fondali stanno rispondendo a questo stop forzato, a questa obbligata assenza dell’uomo in mare. E cosi, ancora di più quest’anno, ho voglia di mettere pinne e maschera e andare in acqua a vedere cosa sta succedendo là sotto e come i miei animali stanno reagendo e magari, quest’anno i miei risultati saranno diversi e ci accorgeremo che il COVID-19, cosi negativo per noi, non lo è così tanto in una visione del mondo non antropocentrica.

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