Tutta colpa del Dna (antico)

di Michela Casadei

 

La sua giornata tipo è passare almeno otto ore in un laboratorio sterile, coperta da vari strati e munita di guanti e apposite tute anticontaminazione. Il suo lavoro è studiare il DNA antico e quello che rimane del materiale genetico nei resti biologici del passato. Nello specifico, cerca i resti del batterio della peste partendo da resti archeologici umani di appestati medievali europei, per poter poi svolgere studi di genetica evolutiva.

Lei è Giulia Graffi, Conservation scientist (scienziata dell’arte in italiano), laureata a Ravenna, attualmente dottoranda di archeogenetica al Centre for Ecological and Evolutionary Synthesis dell’Università di Oslo, che ci racconta come è nata la sua passione per il Dna antico.

Giulia Graffi

Giulia Graffi

Facciamo un passo indietro. “Sono arrivata all’archeogenetica dopo il master ScoRe dell’Università di Bologna, frequentato a Ravenna, corso di studi che mi ha aperto la mente e preparato a vedere le cose in maniera diversa sotto molti aspetti. È lì che tre anni fa ho sentito per la prima volta le parole ‘DNA antico’, e ho capito in poco tempo che che c’era qualcosa di speciale in quella materia, che non potevo lasciarmi scappare…ed è lì che per un anno ho lavorato sulla tesi di laurea magistrale, nel laboratorio di DNA antico del Dipartimento di Beni culturali, uno dei pochissimi in Italia.

“Ora vivo a Oslo da più di un mese ormai, e se ci penso realizzo che il tempo vola e ci sfugge dalle mani più di quanto pensiamo. Esattamente quattro mesi fa ero a Parigi con un’ amica a parlare dei nostri sogni e del nostro futuro. Circa un anno fa ero invece a Ravenna, a finire la tesi di laurea. Ma se devo trovare un inizio alla mia storia lo trovo a Torino, nella città in cui sono nata. È lì che nel 2012, mentre studiavo antropologia, iniziai a scoprire quello che mi piace fare davvero… sai, il lavoro tipo a cui tutti si riferiscono quando sei uno studente che naufraga nel caos delle scelte alla ricerca del senso della vita… quel lavoro che ti dovrebbe piacere talmente tanto da non essere nemmeno più una ‘fatica’ nel senso stretto del termine, ma principalmente passione, scoperta”.

Partire, ma perché? Quando stavo per trasferirmi ad Oslo ci pensavo spesso: ma è davvero questo che voglio inseguire? Ne vale la pena, per allontanarsi così tanto da famiglia e amici?
A un mese dal mio trasferimento direi a qualsiasi ragazzo intenzionato a fare una scelta del genere che sì, ne vale la pena, e di non pensarci troppo su. Alle volte pensiamo troppo. A tutti i motivi per non fare le cose: a non studiare materie troppo difficili all’università, non andare all’estero perché ci si complica solo la vita, a non imparare lingue diverse ‘tanto ormai non le imparo più’. Se mi fossi lasciata trasportare e assorbire da tutte le mie paure non avrei vissuto esperienze fondamentali per la mia vita, probabilmente non sarei la stessa persona.

Quanto contano le persone, i luoghi, l’esperienza universitaria nella vita? “Non so dire esattamente cosa ne sarà di me e del mio futuro in genetica del DNA antico, ho molti progetti da realizzare e molte idee in attesa di essere realizzate. Però una cosa te la so dire:

questo lavoro lo devo a chi mi ha fatto innamorare di quello che faccio, alle persone che mi hanno dato fiducia in anni fondamentali della vita, quelli in cui sei alla ricerca di capire chi sei e che cosa ti piace fare davvero.

Il laboratorio di DNA antico di Ravenna è stato parte della mia quotidianità per un anno, vi ho svolto le ricerche per la mia tesi magistrale con un’ottima squadra guidata da Elisabetta Cilli, molto più di una scienziata, di una supervisor o come la si voglia chiamare. In quei mesi ho capito che in un posto di lavoro la differenza la fanno i fondi e le strutture ovviamente, ma soprattutto le persone.

Quello è stato il momento determinante della vita universitaria, perché è da li che è partito tutto. E’ partito tutto nella calda Ravenna di giugno, chiusi in laboratorio cercando i resti del DNA di antiche popolazioni Italiche.

Ma questa è un’altra storia”.

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